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Basso Dolpo Trek


Agosto 2010

Pista d'atterraggio di Juphal
Com’è il Dolpo? E chi lo sa? Anzi, chi l’ha visto? Sia nei primi giorni di sole e tanto più per il resto del trek, per la pioggia insistente, non abbiamo potuto godere dei panorami decantati da Matthiessen, né abbiamo visto la pecora blu, né il leopardo delle nevi. Ci speravamo così tanto!!.
Le vie carovaniere erano una poltiglia di fango ed escrementi, abbiamo rischiato di rimanere bloccati prima a Rechi, perché il torrente in alcuni tratti si è portato via il sentiero, e poi a Juphal, perché gli aerei non volavano.

Momenti di tensione ed ansia dall’inizio (con allarme bomba a Linate) fino alla fine del viaggio alternati ad autentici colpi fortuna.

E’ difficile dare un giudizio sereno su questo viaggio. Se ci fosse stata qualche schiarita in più e/o nessuna disgrazia, i disagi che abbiamo vissuto potrebbe essere archiviati come “normali” e potremmo riderne.

Comunque la gente, il loro modo di vivere, i gompa, i boschi odorosi, alcuni facili e divertenti guadi hanno lasciato un bel ricordo ed immagino che con un clima diverso sia un viaggio piacevole.

Ho scelto di percorrere il trek in senso antiorario seguendo la tradizione Bön, un’antica forma di lamaismo precedente al buddismo che nel Dolpo dovrebbe essere ancora viva. Noi abbiamo avuto pochi incontri con questa religiosità e mi è parso che ci sia un certo sincretismo tra buddismo e Bön. E’ invece ancora molto netta la differenza tra i nepalesi e gli abitanti del Dolpo che sono più simili sia fisicamente che nei costumi e nella cultura ai tibetani, somiglianza sempre più accentuata man mano che si va verso nord. Persino le case a tetti piani ricoperti di erba a Juphal e piene di cataste di legna a Dho Tarap, e la vita nomade in tenda dei carovanieri come anche dei pastori, sono comuni anche ai tibetani.

Il Dolpo così vicino al Tibet e così lontano da Kathmandu, è fuori dal mondo e dal tempo in un modo inimmaginabile. Tutta la tecnologia moderna è condensata entro la recinzione dell’aeroporto, varcata quella per tutti i 13 giorni del trek non abbiamo più avuto contatti con il nostro secolo. Niente strade, niente cemento, niente cavi telefonici, niente cavi elettrici, niente auto, niente caos, la vita scorre regolata dai ritmi della natura in tranquillità senza fretta né ansia, semplicemente a passo d’uomo. Questo ha avuto un forte impatto su ciascuno di noi.


Non dimenticherò mai il 15° giorno di viaggio, domenica 22 agosto 2010.
lago Poksundo
La giornata inizia nuvolosa, il lago Poksundo è grigio, e ce ne andiamo senza rimpianti.
Lasciamo il lago e riattraversiamo il villaggio di Rigmo, percorriamo un tratto pianeggiante in mezzo ad una jungla lussureggiante: pini blu, verbene, origano, astre, menta, cipressi, cisto, ginepri, betulle, stelle alpine, fiori colorati e uccelli che cinguettano. Ci sembra un paradiso.






Poi si sale di un centinaio di metri in un bel bosco, quindi inizia la ripida discesa a tornanti fiancheggiando la cascata, che sentiamo, ma non vediamo per la nebbia. Guadiamo un torrente/cascata limaccioso che, pochi metri più in basso, precipita nel Phoksundo. La corrente è più forte del solito, l’attenzione è altissima, non si può rischiare di saltare da un masso all’altro, scivolare qui significa finire della cascata Phoksundo (330m di salto).


Dopo parecchi tornanti che scendono a precipizio sulla vallata si arriva al punto panoramico sulla cascata dove sostiamo alquanto nella speranza che la nebbia si diradi; per pochi istanti la nostra pazienza è premiata. Dall’altra parte della vallata vediamo il sentiero percorso ieri, il villaggetto di Maduwa 500m più in basso, persino alcune cime e ovviamente la cascata con i suoi spettacolari salti gonfi d’acqua. Una dei compagni di viaggio scoppia in lacrime per la tensione della discesa sebbene io e Serki la seguiamo passo passo e a volte la teniamo anche per mano.

Riprendiamo la discesa sempre a strapiombo sul torrente, sempre ripida, mentre scende la pioggerellina che ci accompagna fino alla scuola di Tapriza.
Da qui il torrente entra in una gola fino quasi a Chhepka, il sentiero corre ora a lato del torrente, ora sopra, in un continuo saliscendi. Alcuni passaggi sono veramente d’effetto come un tornante fatto con 4 lastre di pietra sospese sul fiume, discese fangose e scivolose, passaggi semi sommersi dall’acqua per cui saltiamo tra un masso e una radice, mentre il fiume riceve acqua da altri affluenti e diventa sempre più scuro, fragoroso. Siamo assordati dalle ondate dell’acqua, dal fragore dei massi trascinati dalla corrente e dal frinire delle cicale. La potenza di questo torrente ci intimorisce. I passaggi sui ponti fatti di assi legno, sotto cui scorre quest’acqua rutilante, non sono rassicuranti.
uno dei ponti sommersi
A Sanduwa troviamo un posto di polizia con telefono solo per le chiamate locali. Ci fermiamo per pranzare a Rechi (2.940m) utilizzando due tende di pastori vuote perché piove.
Dopo un paio d'ore il tedesco che, spesso abbiamo incrociato in questo trek, ritorna verso di noi, dice che più avanti il sentiero è allagato e non si può proseguire. Andiamo a vedere. Dopo mezz’ora arriviamo al punto in cui l’arginello di sassi che era il sentiero a fianco del torrente non c’è più, per almeno 150m bisognerebbe guadare con l’acqua alla vita “tenendoci per mano”, dice Manji, il nostro capo-guida. Scarto subito questa possibilità, la forza dell’acqua è terribile, l’acqua è scura e non si vede nulla, il torrente porta con sé massi enormi, non è pensabile passare. Serki, l'aiuto guida, trova un vecchio sentiero che aggira questo tratto di canyon da sopra ma non è praticabile dagli asini e non si sa se più avanti ci siano altri tratti di sentiero allagato. Manji vorrebbe che piantassimo qui le tende, ma non c’è molto spazio, siamo molto vicini al torrente e il prato è un acquitrino. Io insisto per tornare a Rechi, dove la gola è più ampia e il camping site è alcuni metri sopra il torrente. Il tedesco torna indietro con noi, la coppia di francesi sopraggiunta in quel momento rimane a valutare il da farsi.
Mentre ci stanno montando le tende arrivano uno dei nostri compagni di viaggio con l’espressione scura, dietro di lui mesti i due francesi con la guida e 3 dei loro portatori. La notizia ci lascia sbigottiti, uno dei loro portatori tentando di guadare è stato trascinato via dalla corrente. Si tenevano per mano. Non c’è stato modo di salvarlo. Aveva 20 anni!
Non riusciamo a crederci, e ancora non ci credo mentre lo scrivo. Come si può morire così?
Lo sconforto e lo sgomento ci attanagliano, stiamo a lungo in silenzio, è chiaro il pensiero di ciascuno. Nessuno sa che siamo bloccati qui, il telefono più vicino è a Sanduwa, ad almeno mezza giornata di distanza e ormai il sentiero potrebbe essere allagato anche in quella direzione. Si potrebbe tentare il sentiero alto trovato da Serki ma non si sa fin dove arrivi.
Mangiamo mestamente e preghiamo per quel poveretto. Non smette di piovere e l’acqua è sempre più minacciosa.


Chorten

sentiero verso l'Alto Dolpo

lago Poksundo



Al passo Numala

guadi

pastori



la scuola Bon

L'articolo di Giuseppe Bizzotto - Rivista Avventure nel Mondo n. 2/2012



 
 

1 commento:

  1. Belle foto, io ho fatto "ARAUND THE DAULAGHIRI" super trek

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